1993
Inconsapevolmente l’uomo si ritrovò lassù. A cavalcioni di quella sorta di parapetto metallico dall’esiguo spessore – solo qualche centimetro – di cui non sapeva proprio cosa dire. Il fatto era che improvvisamente – incubo? – si era ritrovato lassù, su “quel coso”, senza sapere, né tanto capire, come ci fosse potuto capitare. Senza riuscire neanche ad immaginare nulla di quella inconsueta situazione. Stupito e stupido, l’uomo si guardò intorno cercando di scoprire… qualcosa.
Invano!
E ancora, si guardava intorno, perplesso, senza riuscire a vedere alcunché – nebbia! – senza ottenere alcuna risposta, ritrovandosi così soltanto con una manciata di domande inevase e una gran quantità di dubbi a tormentargli la mente tanto che perplessità si andava a sommare a perplessità. Osservava cauto quel sottile parapetto sul quale sedeva e che si snodava lungo un percorso circolare, come se fosse un bordo, intorno al quale sembrava proprio non esserci il nulla. All’esterno del parapetto, si estendeva appunto a perdita d’occhio nel più assoluto vuoto, come se davvero il nulla l’avvolgesse, lo circondasse. Inutilmente tentava di sforzare la vista alla ricerca di un qualcosa che – una luce, un’ombra – potesse chiarire l’enigma, rappresentare una spiegazione a quella disdice-vole situazione: un qualcosa che… “deve pur esserci”, si disse. E si ripeteva.
Invano!
All’interno dell’aria delimitata dal parapetto, proprio come un bordo, si scorgevano soltanto delle scoscese pareti di metallo che convergevano verso un grosso buco dall’aspetto poco rassicurante.
“Neanche se fossi seduto sul bordo di un enorme imbuto” si disse l’uomo scacciando quella folle quanto improbabile idea. Si ritrovava oltremodo costretto a continui e ripetuti movimenti per limitare il fastidio che il parapetto, sottile di spessore, gli procurava. Si agitava allora in continua-zione in convulsi quanto ridicoli momenti. Si sforzava ancora di guardarsi intorno, incuriosito forse anche più che preoccupato, alla ricerca di un qualcosa che gli potesse chiarire almeno in parte quale fosse la sua situazione. Con sguardo incredulo si volgeva ora verso il vuoto, dove nulla si vedeva, ora verso l’interno della struttura dove si apriva il buco.
Ad un tratto, un moto improvviso di ilarità gli proruppe a deturpargli il volto come se avesse alfine compreso tutto di sé e della sua realtà o quanto meno avesse acquisito la consapevolezza di quanto potesse in effetti apparire ridicolo, appollaiato là sopra su quel parapetto di metallo: neanche si fosse trovato a cavalcioni del bordo di un enorme imbuto. Rise a lungo. Poi, blaterato qualcosa, con ardito decisionismo, iniziò a percorrere tutto il perimetro del parapetto alla ricerca di un qualcosa che in qualche modo potesse davvero illuminarlo. Agitandosi e spostandosi, cianciando e blaterando con se stesso, percorse alla fine l’intero perimetro della struttura ritrovandosi presto al punto di partenza senza aver, di fatto, concluso niente. Ricominciò così a studiare la situazione. Finché – idea! – non gli venne in mente di adagiarsi lungo le pareti scoscese per lasciarsi scivolare, piano piano, fino al centro per vedere se il buco potesse in qualche modo rappresentare davvero una via d’uscita. L’uomo, così, si sporse per cercare qualche appiglio che – meglio – gli permettesse di scivolare, cautamente, fino al buco senza correre il rischio di cadervi dentro. Ma il gesto, goffo e brusco nella sua dinamica, lo fece cadere in modo rovinoso. Occhi sgranati, l’uomo scivolò e scivolò e scivolò verso quel centro. La bocca dell’uomo si mosse ad urlo e le mani si agitarono alla ricerca di una fortuita quanto improbabile presa.
Invano.
A quel punto, un riso isterico lo colse un istante prima che finisse ingoiato dal buco: l’imbuto dell’idiozia aveva fatto una nuova vittima.
Nel momento stesso in cui l’uomo spariva nel buco, a cavalcioni del bordo già si andava delineando la sagoma di un’altra indistinguibile figura: un altro uomo si materializzava.