Dio

1984

 

 

Dio è là. Seduto su di una panchina. In mezzo al traffico di ogni giorno, con la gente che, accuratamente, lo evita, lo ignora, cerca di non farci caso.

Dio è là, su quella panchina. Senza sapere cosa dire, fare – peggio! – pensare.

Anzi. Più che seduto, si potrebbe dire “buttato” su quella panchina: il busto “scomposto”, le gambe di­varicate in disordine, le braccia disarticolate alla spalliera di quell’improbabile trono e con l’espressione plasmata dal proprio niente. Le dita gli tamburellano nervose, inquiete. Gli occhi ma­lin­conici come un ot­to­bre piovoso. Il mo­rale sot­toterra, sepolto sotto tonnella­te di scon­forto. È evidente il suo cattivo umore. Talmente evidente che – come detto – è cura della gente, che gli è intorno, evitarlo, tenersi a debita distanza, girare a largo.

Dio sta là. E contempla se stesso, compatendosi. Contempla se stesso e il suo stato d’animo.  In quello strano giorno – oggi? – tra quella gente – il traffico di sempre – gli si fa appresso un uomo, un vecchio che – faccia di cemento, cappelli bianchi, membra sdru­­cite da un duro lavoro, pelle spaccata dal sole e dalla fatica, schiena curva da una vita passata a carica e scaricare casse al mercato – gli si pone a fronte a guardarlo. Nella mano sinistra, il vecchio reg­­ge il manico di una grossa cesta, pesante dei frutti del pro­prio lavoro.

Il vecchio guarda Dio, si avvede del suo stato d’animo e, amichevole, si avvici­na a prestargli conforto. È proprio impossibile, infatti, non provare un senso di tristezza che induce alla solida­rietà.

“Qualcosa non va?” chiede.

Dio non risponde. È troppo intento a commi­serarsi per farlo. Ma il suo sguardo e la sua espressione risultano essere più eloquenti di qualsivoglia risposta. La gente, curiosa si volta ad osservare quello strano colloquio. Qualcuno, più coraggioso, azzarda anche passi di avvicinamento, per guardare meglio, sentire, forse anche capire. Impicciarsi, comunque.

Il vecchio è ancora lì, ancora una volta comprensivo e consapevole che solo uno sfo­go può aiutare Dio. E così lo in­vi­ta a con­fi­dar­si. Alla fine quello si lascia andare raccontando di sé e dei propri problemi.

“Tutto non va” conclude la sua narrazione “l’uomo, il mondo, l’umanità” e gli spiega dei malefici – che conosciamo – della cattiveria – che viviamo – degli egoismi – di cui siamo protagonisti – della gente. C’è veramente di che farsi cadere le b­raccia.

Il vecchio scuote la testa e – fraterno – ne condivide lo stato d’animo. Poi, colto da un volon­tà di reazione a quel passivo lasciarsi andare o forse colto da un certo senso di giu­sti­fi­ca­zio­­ni­smo nei confronti del come vanno realmente le cose nel mon­do, cer­ca di consigliare Dio per il meglio.

“Ma tu hai mai prova­to a vivere?” chiede.

Dio lo guarda strano.

A vivere” conferma il vecchio “a vedere, dal punto di vi­sta de­gli uomini, cos’è la vita. E scoprire il senso che gli esseri uma­­ni dan­no all’esistenza”.

Dio resta un attimo perplesso. Poi, come folgorato da un’illuminazione, gli cresce dentro quella forma di giovanile entusiasmo che caratteriz­za – da sempre – i suoi comportamenti, scuotendolo. Del resto – si sa – lui non è mai stato certo un carattere facile. Anzi.

Dio, allora, benedice il vecchio che, con­tento dell’aiuto prestato al creatore di tutte le cose, torna sod­di­sfatto, pur sempre chino dal peso degli anni, sulla sua strada. E la gente lo plaude, entusiasta.

Quello che accadde dopo è cosa nota: in una notte di dicembre, Dio si fece uomo e scese sulla terra a di­vi­dere i buoni dai cat­ti­vi come se potesse essere questa la soluzione al problema.

Mistero della fede.