io sono popolo – note di regia

Contrariamente alle semplicistiche previsioni di fine secolo, il nuovo millennio si è aperto all’insegna delle guerre, delle divisioni e delle crisi economiche e sociali che hanno amplificato le sperequazioni preesistenti scatenando una reazione a catena che hanno fatto esplodere le contraddizioni della contemporaneità. 

Tutto è stato messo in discussione minando gli equilibri più consolidati e dando così l’impressione che fosse la stessa “democrazia” a essere obsoleta, neanche fosse un “male oscuro”, il cancro che, ponendo limiti alle pretese delle diverse componenti sociali, necrotizzasse le capacità rigenerative proprie della società. 

Entrata in crisi, la “democrazia” si svuota di valore, perdendo la propria capacità di mediare tra interessi diversi, tra strati sociali diversi, tra chi gestisce il potere e chi vi sottostà. Senza più ideologie, le élite politiche, economiche, sociali, intellettuali hanno cominciato a rivendicare una loro presunta “superiorità” manifestando insofferenza verso ciò che di fatto, la democrazia stessa, ne limiti il potere. Siamo al “sovversivismo della classe dirigente” ben analizzato da Antonio Gramsci in alcune sue opere. 

Le élite, quindi, hanno cominciato a concepirsi come indispensabili interpreti di una missione salvifica, dando mostra di un radicale mutamento antropologico illiberale, se non proprio antidemocratico, anche lì dove i valori espressi sono riconducibili alla sinistra. 

Ad azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria e a questo “sovversivismo delle classi dirigenti” si è andata

opponendo rabbia e rancore sociale, in una istintiva pulsione originata dalla netta sensazione che, in effetti, un “tradimento dei chierici” ci sia stato. E così è.

Ne è prova la quasi scomparsa di quei movimenti politici che contrastavano il concetto stesso di “pensiero unico”, di “impero”, che si dichiaravano “no-global” e solidarizzavano con i greci, vittime delle scriteriate politiche imposte da un’Unione Europea fin troppo sensibile agli interessi della finanza e delle multinazionali. 

Che cosa rimane, allora, al popolo, a quella massa indistinta che, tradita, è sempre più emarginata, privata di ogni identità e di riferimenti politici? Nulla. Ma il nulla in politica non esiste. Un popolo non può restare a lungo condannato all’insignificanza politica senza reagire. Esplode, allora, nei modi che più gli sono propri: il rancore, la rabbia, l’assalto ai forni. “Il popolo si muove per bisogno e non per raziocinio” come diceva Vincenzo Cuoco analizzando la rivoluzione napoletana del 1799.

Emblematici, in questo senso, sono due pellicole cinematografiche: “V PER VENDETTA” di James McTeigue e “THEJOKER”, diretto da Todd Phillips con un magistrale Joaquin Phoenix.

Le differenze politiche e sociali delle due opere sono notevoli. Nella prima si assiste, infatti, a una rivolta contro un regime fascistoide guidata da una sofisticata élite intellettuale, baluardo di democrazia e civiltà, personificata dall’eroe mascherato. In “THE JOKER”, invece, non esiste un’élite intellettuale che guida una rivolta dai contorni politici e sociali definiti, ma invece si ha una massa che esplode in una ribellione collettiva contro ogni possibile élite politica, economica, mediatica. Una ribellione totale dove non vi può essere salvezza per alcuno. Neanche per la stessa massa che finirà col rimanere, si intuisce nel finale del film, vittima di se stessa, come storicamente è sempre stato in questi casi.

Indicativo è che il primo film sia del 2005, quando appunto era ancora diffusa una certa coscienza critica, mentre la seconda pellicola è del 2019 quando questa coscienza critica si è andata affievolendo fino a scomparire quasi del tutto. Niente coscienza critica, niente no-global, solo pensiero unico. In 14 anni un intero patrimonio culturale, sociale, politico è andato perso nella atrofizzarsi di una élite che da Avanguardia si è trasformata in Oligarchia con l’intento ormai di perpetuarsi nel tempo in una sterile auto rappresentazione di sé.


IO SONO POPOLO” di Alessandro Trigona è questo. Un testo teatrale che si colloca in questo contesto dove il nulla è tutto e il tutto, il nulla.

Un testo che vuole rappresentare questa massa che, vittima di un processo storico di involuzione democratica, si lascia andare alle più istintive e primordiali pulsioni esplodendo nella rabbia e nel rancore. Non c’è testa, non c’è ragionamento, non c’è neanche la volontà di perseguire un personale interesse materiale. È l’esplosione di una bomba sociale che, esasperata dall’attuale Pandemia, sarà ancora più possente e distruttiva se non… si cambia strada. 

E questo è il punto: “se non”.  Un “se non” che non arriva, non trova corpo ed espressione politica a dimostrazione della insignificanza intellettuale di una classe dirigente inetta. A LEI, allora, alla protagonista del testo non rimane altro che alzare il proprio dito medio nel pugno all’indirizzo di tutto e tutti. Dito medio che diviene gesto politico, valenza politica, come lo sono il pugno chiuso o il braccio teso. Il dito medio… come quello che i PUNK, negli anni ‘70, esibivano in segno del loro autodistruttivo rifiuto di tutto e tutti.

LEI è una donna sola, che vive le contraddizioni di questa società in progressivo sfaldamento. LEI è massa, è popolo che ormai non si identifica più con nessuno se non con il tutto e il niente di cui fa parte. IO SONO POPOLO che, appunto, vuol dire tutto e niente. Più niente che tutto. 

Il testo non è indulgente con la realtà di oggi. Non cerca un “dito”, se non medio e alzato, dietro al quale nascondersi. Come verità, dà verità e diviene denuncia sociale di uno stato di degrado generalizzato che, amplificato dall’esplosione della Pandemia, subisce una drammatica accelerazione e inchioda ogni élite alle proprie responsabilità, al proprio desiderio di puro dominio: sovversivismo della classe dirigente di gramsciana memoria. 

LEI è popolo e come tale si racconta. Narra la storia di una ragazza dalla misera cultura da insulso programma televisivo.

Narra del fratello che, lui colto e amante dello studio, è respinto da un sistema in cui l’ascensore sociale è rotto, sabotato da tempo. LEI racconta del padre, piccolo commerciante, che è travolto da una globalizzazione che è soprattutto dumping sociale e che, come tale, impoverisce.

LEI racconta della sua insignificante vita, del progressivo degrado in cui si trova, con la miseria che le diviene unica prospettiva di vita. LEI si autodefinisce popolo e, nel sentirsi tale, trova comunque nella rabbia l’unico possibile conforto che le rimane. 

Il processo politico è avviato. L’accusa è mossa. Gli imputati sono lì, pasolinianamente inchiodati alle proprie responsabilità. Manca solo che la sentenza sia emessa ed eseguita mentre già il dito medio si erge a mandare a fan culo ciò che resta di noi. 

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Lei è magistralmente interpretata da

Giulia Innocenti

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